Palazzo Castriota

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Palazzo Castriota, un luogo magico e seducente pieno di storie da raccontare.

A vederlo da lontano si mostra come una rocca vertiginosamente alta rinserrata da poderosi contrafforti . Ed è proprio questa è la sensazione che si avverte entrando in questo palazzo, avventurandosi tra scalinate, passaggi voltati, camere, sale. Quello che a prima vista sembra un antico maniero è in realtà una dimora fortificata.

disegnoL'edificio, dalla forma irregolarmente quadrangolare, fu  costruito nella seconda metà del ‘500. A farlo edificare fu Cesare Castriota Scanderbeg di San Pietro in Galatina. Tutto ebbe inizio quando don Cesare alienò una sua precedente dimora che egli aveva acquistato l’11 ottobre 1571, ad Alessandro Abenante padre della sua futura terza moglie, Giulia Abenante. Termine ante quem è fornito dunque da questo spoglio notarile che ci permette di comprendere come la costruzione di quello che sarà palazzo Castriota avvenne tra il 1570 e il 1590.

Quello che però a nostro avviso risulta più rilevante ai fini delle prime vicende costruttive di palazzo Castriota non è la vendita ma l’acquisto di alcune “case in S.Luca”, abitazioni che Cesare nel frattempo aveva comperato; è evidente che questi ha in animo di costruire, con il ricavato della vendita, una domum palatiata accanto alla chiesa di San Luca e a ridosso della cerchia muraria, un luogo racchiuso dalle mura bastionate del periodo spagnolo. Rafforza la nostra tesi il fatto che tra il 1551 e il 1606 le concessioni per costruire nuove case sulle mura furono 29, e Cesare Castriota è tra questi.
Quando pensiamo a questo palazzo , tuttavia, bisogna pensare ad un edificio che si costruisce nel tempo.I l nuovo sito è un posto sicuro ma non offre molto spazio per un nuovo palazzo. Per ottenere più area edificabile, i costruttori hanno l’intuizione di cavare il terreno sottostante al piano delle abitazioni e di fabbricare sopra gli edifici esistenti (un vicolo porticato, una “vinella”, probabilmente un collegamento tra le abitazioni preesistenti, è forse quanto rimane delle precedenti abitazioni); alla fine quello che ne risulta fu un edificio che diviene un corpo unico con la cinta muraria sottostante.
Quando Cesare Castriota muore (ca 1595), il palazzo è compiuto. In un atto del 19 maggio 1597 redatto dal notaio Ascanio Salimbene di Corigliano, donna Giulia, fresca vedova di Cesare, dopo avere descritto i beni rustici, dichiara di possedere tre case: una porzione di casa sita nel luogo detto palazzo del Principe, un’altra abitazione nel luogo detto il Serratore ed infine la domo, come la qualifica l’atto notarile, dove ella vive e dove viene redatto l’atto notarile.
Negli anni successivi il palazzo è oggetto di rifacimenti e nuovi ampliamenti che gli conferiscono le forme e i volumi in cui noi oggi lo vediamo. Rare immagini di come l'edificio potesse fosse in passato ci sono fornite dalle alcune incisioni dedicate a Corigliano nella celebre opera del Saint-Non, il Voyage pittoresque (Paris incisione1781-1786). La tavola n. 347 dal titolo “Vue prise sur les hauteurs de Corigliano au sortis de la ville, du côté de la plaine de Sybaris”, ci mostra in alto a sinistra proprio il nostro edificio, raffigurato nelle sue inconfondibili forme in cima ad un inaccessibile dirupo.
Alla fine del ‘700 i Castriota si estinguono. L’immobile passa dapprima in eredità ai Solazzi e poi ai discendenti di questi i Gaetani d’Alife e ai Riseis di Bovino dopo. La storia corre veloce. Negli anni Trenta del ‘900, dopo il clamoroso fallimento della duchessa di Bovino, il palazzo è proprietà della famiglia Tricarico già amministratori di fiducia di casa Bovino. Nicola Tricarico ne ha il possesso dal 1930 al 1950 anno in cui muore. Poi per l’edificio inizia un lento ma inesorabile declino. Dopo anni di abbandono e incuria, nel 1995 il vecchio e malandato edificio passa ancora di mano e viene acquistato da Luigi Petrone, cultore ed appassionato conoscitore della storia locale.

Della magnificenza antica restava oramai poco, dei soffitti dipinti solo tracce, ma per il resto il palazzo si presentava in buone condizioni strutturali. Nasce lidea di farlo ritornare a vivere, di farne un hotel. Sono anni difficili, ricostruire è costoso. Quello che senza dubbio il più bell’esempio di recupero di un palazzo storico a Corigliano trova la sua rinascita. Il complesso intervento, interessa un edificio di oltre 750 metri quadrati e dura tre anni (2007-2009). Il recupero impone una rilettura della disposizione originaria degli ambienti, ma nello stesso tempo forte era la volontà di non violare la natura originaria dell’edificio. Le analisi condotte sulle fondamenta permisero di stabilire come l’edificio poggiasse direttamente sulla viva roccia, come tutto il borgo antico del resto.

La ristrutturazione avviene secondo principi che rispettano le direttrici divisorie interne, la scalinata coperta, gli ambienti voltati, i prospetti esterni. I lavori, diretti dall'architetto Antonio Aprelino e dall'ingegnere Vincenzo Genovese, mettono in luce l’originaria costruzione cinque-seicentesca.
 
I livelli inferiori ricavati direttamente a ridosso della cinta muraria, muri spessi oltre 2 metri, non destano preoccupazione; qui è sufficiente migliorare l’isolamento dall’umidità e restaurare gli ambienti sotto i quali c’è la pietra da far rivivere. Gli intonaci sono molto trascurati, meglio conservati ma alcuni ammalorati per le infiltrazioni d’acqua piovana. Emergono tracce della vita che fu. Scavi restituiscono alcune giare ipogee interrate sotto il piano dei pavimenti, pithoi (dal greco πίθος) una rara testimonianza di un antichissimo sistema in uso fino al tardo settecento che utilizzava come contenitori, per olio e cereali, grandi giare di terracotta, tecnica di conservazione degli alimenti che risale addirittura al periodo della magna grecia.
 
stemmaGli ambienti di quello che presto sarà un hotel vengono realizzati intervenendo il meno possibile sulla struttura originaria, rispettando gli spazi autentici, svelando e valorizzando ogni particolare scoperto. Gli ambienti un tempo adibiti a cantina e deposito sono recuperati per ricavarne la reception e la caffetteria dell’hotel, quelli del piano superiore destinati alla ristorazione mentre gli appartamenti del piano nobile e della servitù, i più in alto, naturalmente camere d’albergo; i futuri ospiti continueranno a dormire in ambienti già utilizzati per il riposo notturno. Viene così ottenuta una distribuzione degli spazi più funzionale destinando ogni piano ad una sola attività. Gli intonaci recuperano le cromie antiche, le travi di legno rimesse al loro posto, le porte sistemate a nuovo ritornano a chiudere, i pavimenti sono rifatti, ma sempre in cotto fatto a mano. Pure le ringhiere dei balconi, in ferro battuto, ripropongono il disegno originale mentre gli infissi, ecologici, sono straordinariamente somiglianti al legno. Sulle facciate sono rifatti gli intonaci mentre l’antica muratura in sasso è ripulita lasciata a vista con gli archi in cotto.
 
All’esterno l’edificio mostra il meglio di se, nelle possenti mura bastionate, nel rosoncino della facciata, merletto di pietra tufacea,  nel toro marcapiano che cinge come una cintola questo vecchio signore. Viene riaperto l'ingresso del palazzo con un antico arco modanato in pietra. L’aquila a due teste ritorna a volare e ricollocato il blasone dei Castriota. Non manca un tocco d’esotismo, come negli antichi edifici della nobiltà napoletana, con una palma a darci il benvenuto .
 
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